Quando la rivoluzione parte dalla musica. Allevi, un “classico ribelle”

Un uomo fragile e forte allo stesso tempo, un “adolescente in un corpo cresciuto” il Giovanni Allevi che esce dalle pagine del suo nuovo libro, “Classico ribelle”. Un artista che tenta di spiegare, attraverso la carta stampata, i meccanismi che lo hanno portato al punto in cui si trova oggi, i modi in cui si è distaccato dai classici pur continuando a rifarvisi. Quel che Allevi si trova a compiere nei confronti degli autori che lo hanno formato e lo hanno aiutato a sviluppare un linguaggio fatto di emozioni, è paragonabile al parricidio intellettuale di Parmenide effettuato da Platone, suo seguace prediletto.

“Io sono un amante del presente e del futuro. Amo il passato quando mi dà spunti per inventare qualcosa di nuovo”. Frasi come questa, essenza profonda dei pensieri che animano le sue melodie, mostrano il forte divario con un mondo accademico giustamente legato alla tradizione, il quale però non riesce a capire che la musica ha la capacità (e il dovere) di cambiare e adattarsi al proprio tempo. Ecco dunque uscire dalle pagine di un libro nuovi aspetti di questo compositore spesso considerato fragile, ma impavido e pronto, di fronte a critiche distruttive, a lanciarsi in un discorso così sicuro da risultare incontestabile (e facilmente confondibile con parole di presunzione, se non si fa attenzione a riportarlo al contesto e alla persona che le sta pronunciando). È così sicuro, però, solo quando parla del modo in cui è riuscito ad addomesticare quest’indomabile strega che anima le vite di tutti noi, e ad esprimere ciò che lei, come una musa per Esiodo, le chiedeva di cogliere e raccontare nel modo migliore.

Eccolo ripercorrere la sua storia, le tappe in cui si è schiuso il suo fiore artistico. Partendo dal periodo in cui lui stesso si definiva uno “scienziato della musica”, la quale sembrava parlare un perfetto linguaggio matematico, fino ad arrivare al momento dell’illuminazione: quando all’elevata dose di tecnica, acquisita in anni di duri studi, si è aggiunto l’ingrediente mancante: la fantasia, che ha permesso lo sprigionarsi della magia che incanta il suo vasto pubblico. “Do il meglio di me solo quando sono in preda all’ansia e al senso di colpa, ma anche alla follia e all’ebbrezza”. Ecco quindi reso possibile il processo di trasformazione di semplici scale e note in quella che, accorgendosi dell’atmosfera sognante da cui gli ascoltatori vengono rapiti durante l’ascolto, può esser definita un’emozione poetica.

Quel che questo eccentrico compositore cerca di dirci attraverso queste righe, dunque, è affascinante tanto quanto complesso: dobbiamo imparare a cogliere la musica in ciò che ci circonda, a far spazio alle nostre emozioni e sentire le melodie che ci suonano dentro. Comprenderle significa aprirsi a un nuovo mondo, in cui non saremo più soli neanche nella stanza più vuota: la nostra musica non ci abbandona mai. Se riusciamo a concepire questa nuova sfera possiamo riappropriarci della nostra individualità. E da individui non abbiamo più la necessità di rimanere relegati nel ruolo di pubblico, un pubblico di “massa”.

Questi individui hanno un solo obbligo, tenere a mente che:

“ Non dobbiamo mai pensare

che tutto sia già stato scritto.

Ci sarà sempre una musica classica “nuova”.

Cristina P.

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