La carne separata meccanicamente, scopriamola!

Volendo parlare sarcasticamente della crisi economica che sta attraversando il bel paese, senza entrare nella serietà dell’argomento, quando pensiamo agli “squattrinati per eccellenza”, badate bene, siamo ancora in ambito sarcastico, ci vengono sicuramente in mente gli studenti universitari, soprattutto quelli cosiddetti fuorisede che lasciano la loro patria d’origine per cercare altrove fortuna, tra affitti loschi e conti ogni mese per evitare il tracollo finanziario. Chi scrive, lo è stato in passato.

Ed è qui che si passa alla prima persona!

Diversi anni fa, prima di scelte alimentari etiche e consolidate da diverso tempo passato a studiare tutto ciò che il marketing invita a mettere in bocca senza troppi indugi, andar a fare la spesa doveva implicare tra le uscite mensili, quella meno esosa. Ricordo perfettamente il reparto frigo di una nota catena di supermercati, dove a 4,50€ vi era in bella mostra una confezione di “cotolette di pollo” con una fantastica forma a cuore, del peso complessivo di più di un chilogrammo, a quel prezzo rappresentava, insieme a wurstel e hamburger, una scelta quasi obbligata. Con 10€ c’era cibo per 15 giorni, forse anche di più. Mi ha sempre colpito una scritta che appariva in tutti questi prodotti, indipendentemente dalla marca, leggendo gli ingredienti si esordiva con: “carne separata meccanicamente di”. Nella mia testa, quella strana scritta ha sempre creato diversi dubbi sul significato, e in effetti ho sempre notato che la “cotoletta di pollo” non ricordava per niente quella cucinata in casa, ma in quel momento il pensiero era: «sicuramente questa carne verrà macinata, per rendere più facile la lavorazione, per questo non sembra una fetta di petto di pollo, ma del tritato.» Forse, in linea di massima, senza aver mai approfondito, qualcosa di vero in quel ragionamento l’avevo fatta.

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Torniamo alla terza.

Quando si parla di “carne separata meccanicamente”, si intende tutto ciò che di scarto animale viene rilavorato, ai fini di evitare quanto più possibile gli sprechi ed abbassare quindi, i costi aziendali. La pratica è largamente diffusa nella quasi totalità delle grosse imprese, soprattutto, ma non solo, nei prodotti che vengono specificati nel racconto biografico. Scarto animale, non è però sinonimo, come bonariamente si potrebbe immaginare, di interiora, grassi o rifilature. Per questi prodotti c’è già un mercato a sè stante: frattaglie, milza, fegato, lingua, cuore; che troviamo già nella loro forma originale.

Di cosa si tratta? La domanda nasce spontanea. La risposta ancor più. Dell’animale, bovini, ovini, suini, equini, ecc… rimangono pur sempre carcassa, testa, cartilagini, pelle, zampe. Tutti sottoprodotti di scarto non vendibili sul banco. Tale rimanenza viene meccanicamente rimacinata e ridotta in una poltiglia talmente fine, da somigliare quasi a del pongo. Il risultato ottenuto, decisamente disgustoso alla vista e al sapore, viene addizionato con diverse parti di acqua, spezie naturali o sintentiche, riempito di sale, spesso anche zucchero, farcito di conservanti e coloranti. Dopo questo procedimento, si confeziona il prodotto finale.

E’ scontato dirlo, ma bisogna comunque farlo, che queste carni, sono quanto di più scadente si possa mangiare. Ricche di grassi, conservanti, sodio, e povere di tutto ciò che di positivo dovrebbero apportare a livello nutrizionale. Inoltre, l’addizione dell’acqua per l’aumento del volume, le rende anche un cattivo affare, poichè del peso finale del prodotto, una consistente quantità sarà occupata dalla nostra cara H2O.

Si parla quindi, di tipologie di alimenti sconsigliate per qualsiasi tipo di dieta e a qualsiasi fascia di età. Il largo consumo è, purtroppo, associato al prezzo finale molto basso, accessibile alla stragrande maggioranza dei consumatori. A quale prezzo, però, per la nostra salute?

Vincenzo M.

Foto @Web

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